(Sent. Cass. Pen., Sez. IV, n. 13497/2017)

 

Il reato di atti persecutori, c.d. stalking, disciplinato dall’art. 612 bis c.p., è stato introdotto dal D.L. 23 febbraio 2009, n. 11 convertito in L. 39/2009 con l’intento di approntare una tutela rafforzata e specifica contro svariate ipotesi di maltrattamenti e condotte aggressive in precedenza sussunte sotto diverse norme incriminatrici, non idonee a ricomprendere il livello di offensività delle condotte criminose in concreto attuate, nonché con l’intento di prevenire conseguenze drammatiche in cui spesso culmina la condotta persecutoria, ossia i fenomeni del c.d. femminicidio e del c.d. omicidio d’identità (per quest’ultimo vi è già un disegno di legge).

La fattispecie del reato è incentrata sul necessario ripetersi di una condotta di minaccia o molestia, causativa di uno dei tre eventi alternativi tipizzati dalla norma:

  • il perdurante e grave stato di ansia e paura della vittima;
  • il fondato timore per la propria incolumità o per quella di persona comunque ad essa effettivamente legata;
  • la costrizione ad alterare le proprie abitudini di vita.

Le modalità di estrinsecazione degli atti persecutori consentono di delineare tre grandi gruppi: stalking “classico” [1], cyberstalking [2] e stalking condominiale [3] e conseguentemente diverse tipologie di vittime.

Solitamente una vittima, con difficoltà e/o con fatica si rivolge a qualcuno per cercare aiuto, soprattutto se donna.

Grazie alla recente pronuncia n. 13497/2017 della IV Sezione Penale della Corte di Cassazione, depositata il 20 marzo, un piccolo e parziale traguardo è stato raggiunto.

I Giudici, infatti, si sono occupati dell’ammissibilità al gratuito patrocinio, ed in particolare dei limiti reddittuali per tale ammissione, anche per le vittime del reato di stalking.

Requisito generale principale per poter chiedere l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato è, infatti, il possesso di un reddito annuo inferiore ad € 11.528,41.

L’art. 76, comma 4-ter del D.p.r. 115/2002 prevede che la persona offesa dal delitto di atti persecutori, nonché dal delitto di maltrattamenti in famiglia o violenza sessuale, “può essere ammessa al patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito previsti dal presente decreto”.

La Corte di Cassazione, superando ogni interpretazione, ha precisato che il termine “può”, contenuto nel sopracitato articolo deve essere inteso come dovere del Giudice di accogliere l’istanza di ammissione al gratuito patrocinio “se” questa è presentata dalla persona offesa da uno dei reati di cui alla norma e all’esito della positiva verifica dell’esistenza di un procedimento iscritto relativo ad uno dei menzionati reati.

La finalità della norma in questione appare essere quella di assicurare alle vittime dei reati di stalking (ossia a titolo esemplificativo e non esaustivo vittime di violenza sessuale, di maltrattamenti in famiglia, di prostituzione e pornografia minorile), un accesso alla giustizia favorito dalla gratuità dell’assistenza legale, nonché quella di eliminare ogni ostacolo (anche economico) che possa disincentivare un soggetto, già in condizioni di disagio, ad agire in giudizio.

Per la Corte di Cassazione, quindi, in assenza di una disposizione legislativa espressa, il Giudice adito ha l’obbligo, non la mera facoltà, di concedere l’ammissione al gratuito patrocinio anche se il richiedente non ha allegato la dichiarazione sostitutiva di certificazione la cui mancanza è inidonea a fondare una pronuncia di rigetto, con la quale attesta la sussistenza delle condizioni di reddito in generale richieste per godere di tale beneficio.

Quindi, la vittima non abbiente che voglia essere ammessa al patrocinio a spese dello Stato dovrà presentare, a mezzo del proprio difensore di fiducia o d’ufficio, l’istanza di ammissione al patrocinio indicando solamente: le proprie generalità e quelle dei componenti la famiglia anagrafica, unitamente ai rispettivi codici fiscali, nonché i dati del processo (ufficio, numero, nome del Giudice e del Pubblico Ministero) cui si riferisce, se già pendente.

 

 

Parere a cura dell’Avvocato Filippo Genovesi
Note:

[1]To stalk” etimologicamente significa fare la posta, braccare. Si tratta di un insieme di comportamenti persecutori ripetuti e intrusivi, come minacce, pedinamenti, molestie, telefonate o attenzioni indesiderate, tenuti da una persona nei confronti della propria vittima.

[2] Con tale termine si intende l’uso di Internet, della posta elettronica o di altri dispositivi di comunicazione elettronica che vengono usati al fine di molestare un altro soggetto (false accuse, monitoraggio, minacce, furto di identità e distruzione o manipolazione di dati).

[3] Variante del reato di cui all’art. 612 bis c.p., enucleata dalla Corte di Cassazione con la sentenza n° 20895 del 25 maggio 2011, leading case in materia. Con tale termine si intende il turbamento della tranquillità domestica, che si esprime in forme molto diverse. Lo stalking condominiale si configura come un insieme di atti ripetuti volti ad arrecare volontariamente a uno o a una pluralità di condomini un disturbo intollerabile per un periodo prolungato di tempo, tale da condizionarne la vita di tutti i giorni.