La pubblicità ingannevole è tema di grande attualità e importanza sia per il consumatore destinatario di messaggi promozionali sia per l’impresa che pubblicizza i propri prodotti e servizi, cercando di creare messaggi di forte impatto commerciale.

Il Codice di Consumo entrato in vigore con il D.Lgs 6 settembre 2005 e successivamente modificato dai D.Lgs n. 145/2007 e n. 146/2007 ha cristallizzato in modo omogeneo la definizione di pubblicità ingannevole.

Per “pubblicità ingannevole” si intende «qualsiasi pubblicità che in qualunque modo, compresa la sua presentazione è idonea ad indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero che, per questo motivo, sia idonea a ledere un concorrente» (art. 2 D.Lgs. 145/2007).

Più nello specifico, l’art. 3 del D.Lgs. 145/2007 considera tutti gli elementi per determinare quando la pubblicità è ingannevole, con riguardo ai suoi riferimenti:

  1. a) alle caratteristiche dei beni o dei servizi, quali la loro disponibilità, la natura, l’esecuzione, la composizione, il metodo e la data di fabbricazione o della prestazione, l’idoneità allo scopo, gli usi, la quantità, la descrizione, l’origine geografica o commerciale, o i risultati che si possono ottenere con il loro uso, o i risultati e le caratteristiche fondamentali di prove o controlli effettuati sui beni o sui servizi;
  2. b) al prezzo o al modo in cui questo è calcolato ed alle condizioni alle quali i beni o i servizi sono forniti;
  3. c) alla categoria, alle qualifiche e ai diritti dell’operatore pubblicitario, quali l’identità, il patrimonio, le capacità, i diritti di proprietà intellettuale e industriale, ogni altro diritto su beni immateriali relativi all’impresa ed i premi o riconoscimenti.

Si sottolinea a riguardo che il pregiudizio subito dalla pubblicità non va esclusivamente identificato con il danno economico, bensì con la capacità di incidere sul comportamento del consumatore nell’ambito della libera scelta tra i prodotti in commercio.

Con sentenza 19 settembre 2017 n. 4378, il Consiglio di Stato, sezione VI, ha statuito come “il carattere ingannevole di una pratica commerciale dipenda dalla circostanza che essa non sia veritiera in quanto contenente informazioni false o che, in linea di principio, inganni o possa ingannare il consumatore medio, in particolare, quanto alla natura o alle caratteristiche principali di un prodotto o di un servizio e che, in tal modo, sia idonea a indurre detto consumatore ad adottare una decisione di natura commerciale che non avrebbe adottato in assenza di tale pratica. Quando tali caratteristiche ricorrono cumulativamente, la pratica è considerata ingannevole e, pertanto, deve essere vietata”.

A titolo esemplificativo dunque, la pratica commerciale risulta ingannevole quando:

– contiene false informazioni

– induce o può indurre in inganno il consumatore

– il consumatore, se fosse stato a conoscenza delle reali caratteristiche del prodotto, non lo avrebbe scelto.

A differenza della pubblicità ingannevole, la pubblicità comparativa è quella modalità di comunicazione pubblicitaria con la quale un’impresa promuove i propri beni o servizi mettendoli a confronto con quelli dei concorrenti ed è ammessa solo quando non è ingannevole, ossia laddove metta a confronto beni omogenei in modo oggettivo, senza ingenerare confusione tra le imprese, né provocare discredito al concorrente. È dunque intesa come strumento d’informazione che consente al consumatore una migliore valutazione del prodotto, della qualità, del costo, agevolandolo ad una scelta più oculata.

Nel nostro ordinamento viene ammessa con lo scopo di favorire il consumatore, costituendo uno stimolo alla concorrenza nell’interesse di quest’ultimo.

A quali organi il soggetto danneggiato può rivolgersi nel caso in cui riscontri il carattere ingannevole all’interno di un messaggio pubblicitario? Ma soprattutto quali tutele può porre in essere?

Sono due gli organi cui è possibile rivolgersi: l’Autorità Garante della Concorrenze e del Mercato, autorità meglio conosciuta come Antitrust e l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria, principale organo di autodisciplina vigente, composto da due organismi interni: il Giurì e il Comitato di Controllo.

Tuttavia i consumatori e le loro associazioni si rivolgono principalmente all’Antitrust in quanto permette l’applicazione di una sanzione pecuniaria a chi non rispetta le regole.

L’autorità Garante della Concorrenza e del Mercato può accertare e bloccare sia di propria iniziativa sia su segnalazione, pubblicità ingannevoli e comparative illecite. Ai segnalanti non vengono richieste particolari formalità, versamenti a favore dell’Antitrust o l’assistenza di un avvocato: è sufficiente accedere al sito dell’AGCM e seguire le indicazioni riportate.

Da sottolineare tuttavia che per consentire all’Autorità Garante di svolgere al meglio la propria tutela sono necessarie delle segnalazioni il più precise possibili e se disponibili copia dei documenti e dei messaggi per i quali si richiede l’intervento.

 

Dott.ssa Maria Chiara Messori