Per pratica commerciale si intende qualsiasi azione, omissione, condotta, dichiarazione o comunicazione commerciale, ivi compresa la pubblicità diffusa con ogni mezzo e la commercializzazione del prodotto, che un professionista pone in essere in relazione alla promozione, alla vendita o alla fornitura di beni o di servizi ai consumatori.

Attraverso le pratiche commerciali i professionisti attivano l’interesse, la curiosità, il convincimento del consumatore verso un certo prodotto, rappresentato come migliore e più conveniente, e richiamano la sua libertà di scelta per aumentare la notorietà del marchio e stimolarlo all’acquisto (Consiglio di Stato, 4 ottobre 2017, n. 4625).

Allo scopo di salvaguardare le decisioni di natura commerciale dei consumatori ed i loro interessi economici, è stata introdotta una disciplina che regolamenta e vieta espressamente le pratiche commerciali scorrette.

La normativa delle pratiche commerciali scorrette è contenuta nel D.Lgs. n. 146/2007 (in vigore dal 21 settembre 2007), che è attuazione della Direttiva quadro 2005/29/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’11 maggio 2005 e che ha, inoltre, apportato alcune modifiche al Codice del Consumo (il D.Lgs. n. 206/2005).

Una pratica commerciale può dirsi scorretta ed è vietata quando, in contrasto con il principio della diligenza professionale, falsa o idonea a falsare in maniera apprezzabile il comportamento economico del consumatore medio che raggiunge o al quale è diretta, inducendolo, così, ad assumere decisioni di carattere commerciale che altrimenti non avrebbe preso.

Oggetto di tutela è la libertà di scelta del consumatore, che deve essere libero di decidere ed agire nel mercato coscientemente e consapevolmente.

I consumatori, fin dal primo contatto pubblicitario, devono, difatti, essere e rimanere in grado di poter valutare l’offerta economica nei suoi elementi essenziali al fine di percepirne con chiarezza la portata e poter conseguentemente operare una consapevole scelta economica (D.Lgs. 206/2005, Codice del Consumo).

Il legislatore comunitario, allo scopo di garantire una maggiore certezza del diritto ai consumatori europei, individua una serie di ipotesi, tassativamente indicate dalla Direttiva quadro 2005/29/CE, le quali sono considerate in ogni caso sleali, ovvero indubbiamente vietate.

Sono tali le pratiche commerciali caratterizzate da particolare gravità.

Alcuni esempi possono essere il promuovere un prodotto simile a quello fabbricato da un particolare produttore in modo da fuorviare deliberatamente il consumatore facendogli credere, così, che il prodotto è fabbricato dallo stesso produttore mentre invece non lo è; oppure affermare falsamente che un determinato prodotto ha la capacità di curare malattie, disfunzioni o malformazioni.

Altre pratiche commerciali particolarmente gravi possono consistere nell’informare il consumatore esplicitamente che se non acquista il prodotto o il servizio sarà in pericolo il lavoro o la sussistenza del professionista, oppure nell’effettuare ripetute e sgradite sollecitazioni commerciali per telefono, via fax, per posta elettronica o mediante altro mezzo di comunicazione a distanza.

Le pratiche commerciali cosiddette ingannevoli e aggressive sono vietate, invece, solamente quando, tenuto conto di tutte le circostanze e caratteristiche del caso, inducano o siano idonee ad indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che altrimenti non avrebbe preso.

Più specificamente, le pratiche commerciali ingannevoli contengono informazioni false, non veritiere, riguardanti le caratteristiche del prodotto, come il prezzo, la disponibilità sul mercato, la composizione, la quantità, i rischi connessi al suo impiego ed i diritti del consumatore, incluso il diritto di sostituzione o di rimborso.

Qualora, invece, il professionista ricorra addirittura a molestie, coercizione (compreso il ricorso alla forza fisica) o indebito condizionamento per limitare la libertà di scelta del consumatore, la pratica commerciale si qualifica come aggressiva.

Nella determinazione dell’aggressività di una pratica commerciale si ha riguardo ai tempi, al ricorso alla minaccia, allo sfruttamento da parte del professionista di un evento tragico o circostanza di particolare gravità o, ancora, a qualsiasi minaccia di promuovere un’azione legale.

In conclusione, come si fa in concreto ad individuare una pratica commerciale scorretta? Cosa occorre dimostrare perché una pratica commerciale scorretta possa venire inibita, eliminandone gli effetti?

Innanzitutto, come affermato dal Consiglio di Stato (06.09.2017, n. 4245) “al fine di qualificare una pratica commerciale come scorretta è sufficiente dimostrare la sua potenzialità lesiva per le scelte che i consumatori devono porre in essere, al di fuori da condizionamenti decettivi. Il bene giuridico tutelato, infatti, è soltanto indirettamente la sfera patrimoniale del consumatore: in via immediata, attraverso la libertà di scelta si vuole salvaguardare il corretto funzionamento del mercato concorrenziale”.

Esiste, peraltro, a tutela del consumatore, la possibilità di segnalare pratiche commerciali, qualificabili come scorrette alla luce dei presupposti sopra menzionati, all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), al fine di bloccarne gli effetti e dare, eventualmente, avvio ad attività istruttoria di accertamento.

In particolare, i consumatori che intendono segnalare una pratica commerciale scorretta possono farlo tramite posta ordinaria, tramite fax oppure compilando e inviando on line apposito modulo prestampato reperibile sul sito dell’AGCM (www.agcm.it).

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, se ritiene la pratica commerciale scorretta, d’ufficio o su istanza di ogni soggetto o organizzazione che ne abbia interesse, può inibirne la diffusione, qualora non ancora portata a conoscenza del pubblico, o la continuazione, qualora la pratica sia già iniziata.

Inoltre, con il provvedimento che vieta la pratica commerciale scorretta, l’Autorità dispone l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria che varia dai 5.000,00 ai 500.000,00 euro, tenuto conto della gravità e della durata della violazione.

Addirittura, in caso di pratiche commerciali scorrette particolarmente gravi (disciplinate dall’articolo 21, commi 3 e 4 del D.Lgs. n. 146/2007), la sanzione non può essere inferiore a 50.000,00 euro.

Al fine di eliminare gli effetti di una pratica commerciale scorretta, l’AGCM si avvale, quindi, di poteri investigativi ed esecutivi che le sono attribuiti in forza del Regolamento 2006/2004/Ce, talvolta anche ricorrendo all’ausilio della Guardia di Finanza.

Inoltre, il D.Lgs. n. 146/2007 all’art. 27 (“Tutela amministrativa e giurisdizionale”) prevede la possibilità di ricorrere, oltre alla tutela amministrativa attraverso provvedimenti inibitori e sanzionatori dell’AGCM, anche ad una tutela giurisdizionale con la possibilità di agire per ottenere sentenza di condanna al risarcimento danni davanti al giudice ordinario competente.

Nello specifico, il giudice ordinario è competente nelle ipotesi in cui una pratica commerciale scorretta configuri un caso di concorrenza sleale (ex art. 2598 cod. civ.), o di violazione della disciplina del diritto di autore (Legge n. 633/1941 e successive modificazioni), o del marchio di impresa (D.Lgs. n. 30/2005) o delle denominazioni di origine riconosciute e protette in Italia e di altri segni distintivi di imprese, beni e servizi concorrenti.

 

Dott.ssa Maria Eugenia Bosio