Nella vita di tutti i giorni può talvolta accadere di subire il furto della propria carta bancomat o carta di credito, scoprendo che il ladro ha eseguito dal nostro conto corrente una serie di prelievi o pagamenti non autorizzati presso sportelli ATM o POS, riuscendo a carpire i codici segreti di utilizzo.
Come ci si deve comportare in tale situazione?
Per prima cosa, occorre contattare subito il proprio istituto di credito o chiamare l’apposito numero verde per procedere al blocco dello strumento di pagamento sottratto; inoltre, è necessario recarsi presso i Carabinieri o la Polizia di Stato per sporgere immediata denuncia dell’accaduto.
A questo punto, per poter ottenere il rimborso delle somme fraudolentemente sottratte, bisogna inviare all’istituto bancario un reclamo scritto tramite raccomandata o posta elettronica certificata, allegando copia della denuncia di furto e di conseguente disconoscimento delle operazioni realizzate.
L’istituto bancario ha 30 giorni di tempo per fornire una risposta e, in caso di mancato riscontro o di diniego della richiesta di rimborso, il cliente può alternativamente scegliere di percorrere due strade differenti:
– da un lato, può rivolgersi ad un organismo di risoluzione extragiudiziale di controversie sorte tra banche e clienti denominato Arbitro Bancario Finanziario (ABF), presentando ricorso entro 12 mesi della presentazione del reclamo; l’ABF contatterà la banca in questione, la quale ha 45 giorni di tempo per fornire le sue osservazioni. Entro 60 giorni dal ricevimento delle medesime, l’Arbitro esprime il suo giudizio sul ricorso, comunicandolo alle parti entro 30 giorni.
– dall’altro lato, può adire l’autorità giudiziaria competente per valore, vale a dire il Giudice di Pace (per controversie fino a 5.000 euro) o il Tribunale (per le liti di valore superiore) del luogo in cui è avvenuta l’illecita sottrazione.
Ai sensi dell’art. 12 co. 3 d.lgs. n. 11/2010, “salvo se abbia agito[…]con dolo o colpa grave, il pagatore può sopportare, per un importo comunque non superiore a euro 50, la perdita relativa a operazioni di pagamento non autorizzate derivanti dall’utilizzo indebito dello strumento di pagamento conseguente al suo furto, smarrimento o appropriazione indebita”; quindi, salvo il caso in cui l’utilizzatore proprietario della carta abbia agito con dolo o colpa grave, ricade interamente sulla banca il rischio connesso all’utilizzo di strumenti elettronici di pagamento e il conseguente obbligo di restituzione del denaro sottratto, al netto dell’eventuale franchigia di 50 euro posta a carico del cliente, la cui applicazione è lasciata alla discrezionalità della banca.
Tuttavia, può accadere che l’intermediario in maniera infondata neghi la richiesta di rimborso, invocando la violazione degli obblighi di custodia da parte del cliente ai sensi dell’art. 7 d.lgs. n. 11/2010, secondo cui “l’utilizzatore/titolare, appena riceve gli strumenti di pagamento, adotta le misure idonee a garantire la sicurezza dei dispositivi personalizzati che ne consentono il corretto impiego”.
L’istituto bancario può infatti giustificare la mancata restituzione dell’importo fraudolentemente sottratto semplicemente asserendo che il prelievo non autorizzato sia avvenuto grazie alla corretta digitazione del pin conservato unitamente alla carta rubata da parte dell’utilizzatore in maniera imprudente. Tutto ciò allo scopo di far ricadere la condotta del cliente nell’alveo della colpa grave, requisito sufficiente ad esonerare la banca da ogni obbligo di restituzione.
In realtà, l’onere della prova è nettamente a favore del titolare della carta, il quale deve solamente dimostrare di aver subìto dal proprio conto un prelievo non autorizzato, risultando invece particolarmente gravoso per la banca riuscire a fornire prove che consentano di dimostrare in concreto la colpa grave del cliente utilizzatore.
In particolare, alla luce di un consolidato ed autorevole orientamento giurisprudenziale in materia, “nel caso di uso illegittimo di una tessera bancomat, la società di servizi che eccepisca la colpa concorrente del titolare per difettosa custodia del codice personale, ha l’onere di provare concretamente tale negligenza, la quale non può ritenersi “in re ipsa” per il solo fatto che una tessera bancomat, dopo il furto, sia stata utilizzata per prelevare facendo uso del pin”.
È del resto possibile ricavare illecitamente il pin necessario per effettuare prelievi dal contro corrente altrui anche mediante appositi strumenti informatici. (Trib. Roma Sez. XIII, Sent. 20.03.2006).
Per di più, in assenza di un quadro probatorio che porti ad escludere l’impossibilità di ottenere il pin a mezzo di strumenti fraudolenti, si deve concludere che il cliente si sia comportato correttamente e che il pin sia stato carpito dal sistema da parte di colui che ha sottratto la tessera, senza che la banca abbia apprestato gli adeguati sistemi per impedirlo (Trib. Padova Sez. II, Sent. 22.03.2017).
La Suprema Corte, ha infine recentemente statuito che è “del tutto ragionevole ricondurre nell’area del rischio professionale del prestatore di servizi di pagamento,[…]la possibilità di una utilizzazione dei codici da parte di terzi, non attribuibile al dolo del titolare o a comportamenti talmente incauti da non poter essere fronteggiati in anticipo”. (Cass. Civ. Sez. I, sent. 03.02.2017 n. 2950).
Del resto, la diligenza posta a carico dell’istituto bancario ha natura tecnica e deve essere valutata, ai sensi dell’art. 1176 co. 2 c.c., tenendo conto dei rischi tipici della sfera professionale di riferimento, assumendo come parametro la figura dell’accorto banchiere: spetta pertanto all’intermediario bancario provare di aver adottato tutte le misure idonee a garantire la sicurezza del servizio da eventuali manomissioni. (Cass. Civ. Sez. I, 19.01.2016 n. 806)
Va sottolineato inoltre che l’indirizzo interpretativo ormai costante dell’Arbitro bancario finanziario, avallato dall’orientamento uniforme del Giudice di Pace, è quello di pronunciarsi a favore dei clienti derubati, non potendosi presumere che il furto, e il successivo prelievo dal conto, siano sempre la diretta conseguenza dell’incuria, da parte del titolare, nella conservazione delle carte e del pin, essendo comunque necessaria una prova concreta in tal senso fornita dalla banca, con netta esclusione di prove presuntive (Giudice di Pace, Milano, sent. 12057/2015).
Quindi, ad esempio, nel caso in cui il proprietario di uno strumento di pagamento sia vittima di prelievi non autorizzati del valore complessivo di 1.800 euro a seguito di furto o smarrimento del proprio bancomat, deve provvedere al blocco di esso e presentare immediata denuncia dell’accaduto. Inoltre, laddove emerga che la banca non ha predisposto adeguati sistemi per evitare l’illecita intromissione da parte di terzi per carpire i codici di utilizzo, il titolare della carta ha diritto a pretendere dal proprio istituto bancario la restituzione dell’importo fraudolentemente sottrattogli, al netto dell’eventuale franchigia di 50 euro che rimane a suo carico, presentando reclamo scritto. In caso di ingiustificato diniego da parte della banca, il cliente può rivolgersi in via stragiudiziale all’ABF o adire il giudice competente per ottenere la rifusione di 1.750 euro, fatto salvo il caso in cui la banca riesca a dimostrare in concreto il dolo o la colpa grave dell’utilizzatore proprietario della tessera, liberandosi solo in tal caso dall’obbligo di rimborso.
Dott.ssa Benedetta Ballista