Quali tutele impronta il nostro ordinamento per il soggetto costretto a subire la morte del proprio animale da compagnia a causa della condotta di un terzo? Quali danni sono risarcibili e come sono quantificabili?

Il tema è particolarmente dibattuto e ha trovato negli ultimi anni molteplici applicazioni giurisprudenziali.

Non si profila nessun dubbio, innanzitutto, circa la risarcibilità dei danni patrimoniali, per tali intendendosi le spese di soccorso e ovviamente anche quelle sostenute per il ricovero e la cura dell’animale (cd. danno emergente).

Secondo la giurisprudenza, il risarcimento di tali spese è sempre ammesso, purché queste siano congrue e adeguatamente documentate, e soltanto qualora siano conseguenza diretta ed immediata dell’evento dannoso.

Ai sensi dell’art. 1227 c.c., non possono in ogni caso essere risarcite quelle spese che il danneggiato avrebbe potuto evitare di sostenere se si fosse comportato secondo ordinaria diligenza (in base a questo criterio, ad esempio, la giurisprudenza ha ritenuto non risarcibili le spese sostenute per la cura di un gatto presso una costosa clinica veterinaria, in quanto eccessive rispetto al “valore” dell’animale; così Trib. Milano Sez. X, 30/06/2014).

Un altro aspetto, da valutarsi più attentamente caso per caso, è quello relativo al lucro cessante: in alcune ipotesi, infatti, la giurisprudenza – specialmente di merito – ha ritenuto configurabile un’ipotesi di danno da mancato guadagno in capo al proprietario di animali da competizione (ad es. cavalli) o di animali di particolare pregio e dotati di una spiccata attitudine riproduttiva (in tal senso Trib. Firenze Sez. II, Sent., 14-06-2013).

Tuttavia, non esistendo sul punto un principio-guida sancito dalla Cassazione, la giurisprudenza si atteggia di volta in volta in modo differente a seconda del libero convincimento del Giudice.

Molto più complesso è il discorso relativo alla risarcibilità del danno non patrimoniale, e nella fattispecie del danno morale patito dal proprietario di un animale di compagnia a seguito della morte di quest’ultimo.

La giurisprudenza ha dibattuto a lungo sul punto, escludendo per molto tempo – almeno sino agli albori del corrente decennio – ogni tipo di risarcimento del danno extrapatrimoniale in siffatte ipotesi.

Ad oggi, pur trovandoci ben lungi dal vedere riconosciuto un generale diritto al risarcimento dei danni morali per il soggetto che abbia subito la perdita del proprio animale da compagnia, parrebbe essersi aperto un timido spiraglio in tale direzione.

In particolare, il principio cardine seguito dalla giurisprudenza è quello statuito dalle cd. sentenze di San Martino (Cass. civ. Sez. Unite Sent., 11/11/2008, n. 26972/26793/26794/26795), in base al quale il danno morale è risarcibile soltanto qualora il fatto che ha determinato il decesso dell’animale costituisca almeno astrattamente una fattispecie di reato.

Così, è stato ritenuto risarcibile il danno causato da un soggetto che abbia causato la morte di un animale tramite la somministrazione di una polpetta avvelenata (Trib. Milano, Sent. 03.04.2012) o tramite l’esplosione di molteplici colpi con una pistola ad aria compressa (Trib. di Milano, Sent. 30.06.2014), mentre è stato negato l’indennizzo in svariate ipotesi in cui il decesso è stato determinato da un investimento involontario.

Non mancano, in ogni caso, interventi giurisprudenziali di segno ancora più favorevole al soggetto leso: recentemente varie Corti di merito hanno ritenuto risarcibile il danno morale patito dai padroni di animali deceduti anche in assenza di veri e propri reati, specialmente in ipotesi di malpractice sanitaria (Trib. Milano, Sezione X, 1 luglio 2014; Trib. Genova, Sent. 1004/2016).

Il principio, fatto ormai proprio da una parte della giurisprudenza di merito, è quello secondo il quale “non sembra dubitabile che la perdita di un animale d’affezione, specie nel caso in cui il rapporto sia radicato da tempo, comporti un pregiudizio non soltanto alla sfera emotivo-interiore, ma sia suscettibile di modificare e alterare le abitudini di vista e gli assetti relazioni del danneggiato”, di talché “affermare che la sua perdita sia “futile” e non integri la lesione di un interesse della persona alla conservazione della propria sfera relazionale-affettiva, costituzionalmente tutelata, non sembra più rispondente ad una lettura contemporanea delle abitudini sociali e dei relativi valori” (App. Roma, Sent. 27 marzo 2015).

Tuttavia, tali posizioni – seppur forse condivisibili in un’ottica più attenta al diritto europeo (cfr. Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia sottoscritta a Strasburgo il 13/11/1987) – appartengono per ora soltanto ad una parte della giurisprudenza di merito, restando invece valido come principio cardine quello statuito dalla Cassazione ormai quasi un decennio fa (risarcimento soltanto in caso di condotte integranti fattispecie di reato).

 

Avv. Filippo Genovesi