Il diritto all’immagine può essere considerato come il segno distintivo dell’individuo e si configura come uno dei diritti fondamentali della persona, e come tale assoluto, indisponibile e indefettibile (così come previsto dall’articolo 2 della Costituzione che garantisce la massima tutela ai cd. diritti della personalità).
In particolare, il diritto all’immagine si esplica nel diritto a non vedere esposte o pubblicate le proprie immagini, senza la manifestazione di uno specifico consenso e fuori dai casi previsti dalla legge.
Esistono, quindi, solo due casi in cui la pubblicazione ed utilizzazione dell’immagine altrui è lecita: quando vi sia stata l’autorizzazione da parte della persona ritratta, oppure quando si rientri nei casi previsti dalla legge per i quali il consenso dell’interessato non è necessario (ovvero la notorietà del soggetto ritratto, l’ufficio pubblico ricoperto dallo stesso, nei casi in cui vi sia un interesse pubblico all’informazione giustificato da fatti relativi alla giustizia).
È importante sottolineare che, in virtù del “principio del consenso”, ciò che viene ceduto non è il diritto all’immagine (che rimane personalissimo ed inalienabile), ma l’utilizzo dello stesso: se, quindi, un soggetto presta il suo consenso a pubblicare una sua immagine, tale autorizzazione non si estende automaticamente alla pubblicazione ed utilizzazione di tutte le immagini che lo ritraggono: al di fuori dei casi sopra menzionati, si ha lesione del diritto all’immagine.
L’articolo 10 del codice civile disciplina l’abuso dell’immagine altrui, disponendo che «qualora l’immagine di una persona o dei genitori, del coniuge o dei figli sia stata esposta o pubblicata fuori dei casi in cui l’esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei detti congiunti, l’autorità giudiziaria su richiesta dell’interessato, può disporre che cessi l’abuso, salvo il risarcimento dei danni».
Quindi è codicisticamente riconosciuta al soggetto leso la possibilità di ricorrere all’autorità giudiziaria per impedire l’abuso della propria immagine da parte di terzi, attraverso un’azione inibitoria, per ottenere il risarcimento del danno ed eventualmente per avere la pubblicazione della sentenza di condanna.
Con l’azione inibitoria, il Giudice può disporre qualsiasi provvedimento idoneo ad impedire la prosecuzione o il ripetersi dell’illecito, attraverso una sentenza che ordina la cessazione del fatto lesivo, oppure adottando uno dei provvedimenti cautelari previsti dall’articolo 700 del codice di procedura civile.
La persona lesa può, inoltre, ottenere il risarcimento del danno derivante dall’utilizzo non autorizzato della sua immagine, che può essere tanto patrimoniale quanto non patrimoniale.
“La pubblicazione non autorizzata di una fotografia, utilizzata per fini pubblicitari, comporta il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, in favore del danneggiato, a prescindere dal contenuto denigratorio o meno dell’immagine, per il solo fatto del mancato consenso alla pubblicazione” (Tribunale di Pordenone, sentenza n. 634 del 29.08.2017).
Si parla di danno patrimoniale soprattutto nel caso di illecito sfruttamento a fini pubblicitari dell’immagine di una persona nota, comportando tale abuso un danno emergente per la diminuzione del valore commerciale dell’immagine dovuto alla sua pubblicazione (il cd. “danno da “annacquamento”), ma anche un lucro cessante, inteso come mancato arricchimento che la persona nota avrebbe potuto richiedere ed ottenere sfruttando la propria immagine in casi simili (il cd. “prezzo del consenso”).
Come da recente sentenza della Suprema Corte, “l’illecita pubblicazione dell’immagine altrui obbliga al risarcimento anche dei danni patrimoniali, che consistono nel pregiudizio economico di cui la persona danneggiata abbia risentito per effetto della predetta pubblicazione e di cui abbia fornito la prova. In ogni caso, qualora – come accade soprattutto se il soggetto leso non è persona nota – non possano essere dimostrate specifiche voci di danno patrimoniale, la parte lesa può far valere (conformemente ad un principio recepito dall’art. 128 della legge 22 aprile 1941, n. 633, novellato dal d.lgs. 16 marzo 2006, n. 140, non applicabile alla specie “ratione temporis”) il diritto al pagamento di una somma corrispondente al compenso che avrebbe presumibilmente richiesto per concedere il suo consenso alla pubblicazione, determinandosi tale importo in via equitativa, avuto riguardo al vantaggio economico presumibilmente conseguito dell’autore dell’illecita pubblicazione in relazione alla diffusione del mezzo sul quale la pubblicazione è avvenuta, alle finalità perseguite e ad ogni altra circostanza congruente con lo scopo della liquidazione” (Cass. civ. Sez. III, 10.05.2010, n. 11353; così anche Cass. civ. Sez. III, 16.05.2008, n. 12433).
Si ha invece un danno non patrimoniale, invece, nei casi di illecito sfruttamento dell’immagine di una persona sprovvista di notorietà, in quanto lesione di diritti inviolabili della persona garantiti dall’articolo 2 della Costituzione: “protezione costituzionale che di per sé integra la fattispecie prevista dalla legge (al suo massimo livello di espressione) di risarcibilità dei danni non patrimoniali, ai sensi dell’articolo 2059 del codice civile” (Corte d’Appello di Roma, Sez. I, 10.10.2011).
Peraltro, il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale è riconosciuto anche in favore della persona celebre, “ove la fattispecie configuri anche violazione del diritto alla riservatezza” (così Corte d’Appello di Roma, Sez. I, 10.10.2011).
In taluni casi, il Giudice può disporre, altresì, su istanza di parte, che la sentenza di condanna venga pubblicata su uno o più giornali a spese della parte soccombente, quando ciò possa contribuire a restituire dignità all’immagine violata.
Ultimo punto da prendere in considerazione è la possibile rilevanza penale che può assumere la condotta illecita del terzo che sfrutti, utilizzi o pubblichi l’immagine altrui.
Nel caso in cui la pubblicazione o l’utilizzo abusivo dell’immagine di un’altra persona sia idonea ad offenderne la reputazione o il decoro, l’autore del fatto, oltre al risarcimento del danno, sarà chiamato a rispondere per il reato di diffamazione aggravata con l’applicazione della pena della reclusione da 6 mesi a 3 anni o della multa non inferiore a € 516,00.
La sussistenza o meno del pregiudizio all’onore e al decoro deve essere valutata in concreto e con riferimento alla persona ritratta, all’attività da essa svolta, all’ambiente in cui vive e alla sensibilità sociale del momento.
Ad esempio, la giurisprudenza ha considerato non lesiva dell’onore, della reputazione o del decoro la pubblicazione della fotografia di una cubista scattata durante una serata in discoteca (Tribunale di Napoli, 26.06.2001).
Inoltre, all’autore del fatto potranno essere applicate anche sanzioni amministrative pecuniarie come dispone il nuovo Regolamento Europeo n. 2016/679 (GDPR: the General Data Protection Regulation), disciplinando le “condizioni generali per infliggere sanzioni amministrative pecuniarie” (art. 83) e le relative “sanzioni” (art. 84) nei casi di violazione delle disposizioni del Regolamento a tutela del trattamento dei dati personali, nonché della libera circolazione degli stessi.
Va evidenziato come in ogni caso non sia permessa la pubblicazione qualora le immagini ritraggano vittime di violenza sessuale (salvo il loro consenso), minori coinvolti in un procedimento penale o persona privata della libertà personale (salvo il consenso).

Dott.ssa Maria Eugenia Bosio